Enogastronomia

La straordinaria ricchezza di prelibatezze enogastronomiche tipiche rappresenta senza dubbio il migliore biglietto da visita di Valsamoggia. Si tratta di un paniere composito e appetitoso, fatto di cibi e di vini di alta qualità, che si fonda sulle antiche tradizioni agroalimentari di questa terra: prodotti rimasti nel tempo fedeli ai gesti di una volta, con quell’attenzione alle esigenze di qualità e genuinità oggi sempre più apprezzate.

Il Tartufo

Il Tartufo Bianco Pregiato dei Colli Bolognesi è una vera e propria produzione di eccellenza della gastronomia dell’Appennino e Savigno è certamente tra i territori in cui questa vocazione è più forte. Qui, a novembre, si danno appuntamento per tre weekend gourmet appassionati in occasione della sagra dedicata appunto al tartufo: programma e tutte le informazioni sono su www.tartufosavigno.com.

Il festival del tartufo è innanzitutto offerta gastronomica d’eccellenza, nata dalla collaborazione tra pro loco, ristoratori e associazioni di Savigno e Valsamoggia; ma ci sono anche mercatini e bancarelle (da segnalare quello del vecchio e dell’antico) ad animare festosamente le vie del paese, iniziative culturali, passeggiate e laboratori tutti dedicati al tartufo.

 

 

Qualche approfondimento dall’archivio comunale savignese:

il Pignoletto e i Vini dei Colli Bolognesi

Pignoletto è il nome del vitigno autoctono da cui si ottiene questo vino unico, delizioso ed esclusivo: è giustamente considerato il “Re dei Colli Bolognesi”. Il vino ha un bel colore giallo paglierino scarico con riflessi verdolini e il profumo delicato, fruttato e intenso dei fiori di biancospino, dal sapore secco, armonico, asciutto e abbastanza persistente; inoltre è fresco di acidità. Viene prodotto in varie tipologie: fermo, con caratteristiche e tipicità inalterate, frizzante a fermentazione naturale oppure spumante, con metodo Charmat a rifermentazione termo-regolata in autoclave o Classico con rifermentazione in bottiglia; superiore con gradazione alcolica naturale delle uve del 12% vol. La produzione delle uve, la vinificazione e l’imbottigliamento devono avvenire nella zona tipica del comprensorio in bottiglie del tipo “bordolese a spalla alta” con tappo raso in sughero e l’indicazione in etichetta dell’annata di produzione delle uve. La tipologia Frizzante può essere messo nella bottiglia appositamente studiata e prodotta per il Consorzio dei Colli Bolognesi. La tipologia frizzante è un ottimo aperitivo in quanto fruttata, delicata e leggera, è perfetta con antipasti all’italiana, di pesce e tigelle, verdure e uova. La tipologia ferma, sia Superiore che Classica è da tutto pasto, ma soprattutto con carni bianche e formaggi freschi che ne valorizzano le caratteristiche. Apprezzabile in ogni occasione poiché allieta qualsivoglia incontro e, per coglierne appieno la tipicità, si consiglia di degustarlo giovane, stappando al momento a 8°-10°C.

Puntata di “Con i Frutti della Terra” dedicata all’Uva Saslà. 

L'Uva saslà

Il vitigno Chasselas (Saslà) produce un’uva da tavola particolarmente gustosa e raffinata, dalla buccia molto sottile, con acini sferici, dorati e quasi trasparenti al momento della maturazione. Le sue origini sono molto antiche e non ben definite: c’è chi ipotizza che sia nativo della Svizzera, chi dell’Egitto, chi ancora del Libano.

La sua coltivazione si diffuse sui Colli Bolognesi a partire dai primi anni del XX secolo, con un periodo di massima espansione tra il 1925 e il 1955, quando divenne una parte rilevante dell’economia del territorio, creando lavoro per moltissime persone che si dedicavano intensamente alle fasi di raccolta, preparazione, vendita e trasporto dell’uva Chasselas. Diverse centinaia di donne, utilizzando delle piccole forbici si occupavano di pulire l’uva, eliminando gli acini danneggiati, e sistemavano il prodotto nei tipici plateau di legno di pioppo, prodotti nelle cinque segherie di Bazzano, che impiegavano stagionalmente un centinaio di operai.

Verso la fine degli anni ‘50 sui Colli bolognesi si verificò una progressiva sostituzione del Chasselas con vitigni per uva da vino oppure utilizzando lo Chasselas stesso per la vinificazione. Questi cambiamenti erano imputabili sia alla concorrenza di uva da tavola proveniente dal centro-sud con acini più resistenti, più grossi, più appariscenti e soprattutto precoci, ma anche alle caratteristiche stesse delle uve Chasselas, con acini molto delicati che richiedono una lavorazione complessa e in proporzione poco redditizia. Attualmente la coltivazione di questo vitigno è mantenuta viva da piccole produzioni locali d’eccellenza e il prodotto è oggetto di tutela da parte di Slow Food. La coltura del Chasselas è al contrario molto diffusa in Svizzera e in Francia.

Il gnocco fritto

Il gnocco fritto (e non “lo gnocco” come vorrebbe la lingua italiana) è un prodotto alimentare tipicamente emiliano, che trova nella Valle del Samoggia una delle zone a più alta densità di ristoranti specializzati. Nel resto della provincia di Bologna viene chiamato crescentina (nome che, tanto per complicare le cose, nella montagna modenese indica la tigella). Farina di frumento, sale, strutto e lievito sono gli ingredienti: il gnocco che si ottiene impastandoli viene fritto, secondo la tradizione, in abbondante strutto bollente. In un attimo si gonfia ed è subito pronto per essere gustato con i celebri, ma mai sufficientemente celebrati, salumi bolognesi. La Sagra del gnocco fritto a Castello di Serravalle è un appuntamento di grande attrazione e nel Guiness dei primati per il gnocco fritto più grande mai preparato.

Il Borlengo

Il borlengo o burlengo è una specie di crèpe molto sottile e croccante preparata a partire da un impasto liquido estremamente semplice (è un tipico cibo povero), a base di acqua (o latte), farina, sale e talvolta anche uova: questo impasto è detto colla. Il ripieno tradizionale, detta “cunza”, consiste in un battuto di lardo, aglio e rosmarino, oltre ad una spolverata di Parmigiano. Il borlengo si serve molto caldo e ripiegato in quattro parti. Molti paesi della zona di produzione rivendicano la paternità di questo alimento, la cui origine è decisamente antica: i primi documenti certi risalgono al 1266, ma c’è chi ne situa la data di nascita addirittura nel Neolitico!
Per alcuni il borlengo sarebbe il risultato di uno scherzo ad una massaia che, con acqua e farina, stava preparando il tradizionale impasto per le crescentine da cuocere nelle tigelle (piccole pietre in mezzo alle quali, un tempo, i dischi di pasta erano accostati al fuoco del camino). La donna, trovandosi l’impasto per il cibo quotidiano allungato eccessivamente dall’acqua, non pensò di buttarlo via, ma provò a ricavarne ugualmente qualcosa di commestibile e ci riuscì.

Alcuni storici ritengono che il nome derivi da burla, e risieda nel fatto che il borlengo è un alimento molto voluminoso, ma in realtà molto leggero perché la pasta è sottilissima.


Quello che oggi viene considerato un antipasto, una volta costituiva un vero e proprio pasto. I borlenghi nascono dalla cucina povera del modenese e sono considerati una delle specialità della cucina dell’Emilia-Romagna. Una ricetta che sarà più buona se utilizzate degli ingredienti genuini.

e inoltre..

il Latte e i formaggi

la Pasta fresca

la Frutta

i Salumi

il Miele

le Patate

il Grano e la Farina

la Lavanda e lo Zafferano

le Castagne

vino

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